I TERMINI DELLA SCELTA PER FARE L’EUROPA FEDERALE

Franco Spoltore

Le azioni federaliste delle prossime settimane e in vista della convenzione per la federazione europea del prossimo 5 aprile a Roma, vedono l’Italia ancora una volta in una situazione di incertezza per quanto riguarda la sua governabilità, la sua l’affidabilità politica e finanziaria, il suo ruolo in Europa.

Una conferma di quanto profonda sia la crisi politica, sociale e morale in cui ci troviamo, e anche dell’impossibilità per l’Italia di uscire dallo stato in cui si trova al di fuori di una strategia di consolidamento dell’unione dell’eurozona. Nella stessa riunione della direzione del PD di qualche giorno fa, sia il Presidente Letta sia altri interventi hanno messo in evidenza che è impensabile un rilancio dello sviluppo e della crescita nazionale senza un rilancio dell’eurozona. È questa del resto la bussola che sta orientando la condotta di governi ed istituzioni nazionali ed europee anche al di fuori dell’Italia. I termini del problema sono stati ben individuati e ricordati dal Presidente Napolitano nel suo intervento al Parlamento europeo il 4 febbraio in occasione della ricorrenza dei trent’anni del Progetto Spinelli: “Si va delineando un cambiamento profondo del modo di essere e di operare dell’Unione europea. I cittadini-elettori non sono dinanzi a una scelta fuorviante tra stanca, retorica difesa di un’Europa che ha mostrato gravi carenze e storture nel cammino della sua integrazione, e agitazione distruttiva contro l’Euro e contro l’Unione. Si, puramente distruttiva, anche se in nome di un’immaginaria “altra Europa” da far nascere sulle rovine di quella che abbiamo conosciuto. No, i termini della scelta non sono questi. Infatti, poste di fronte a una drammatica crisi finanziaria, economica e sociale, le istituzioni europee si sono mosse a fatica, fra troppe esitazioni, divergenze e lentezze, ma si sono certamente mosse nel senso della correzione di comportamenti precedentemente tenuti”.

Né stanca retorica, né agitazione distruttiva, ma costruzione di un nuovo ordine, di una nuova unione: ecco la sfida e le responabilità di fronte alle quali, ognuno nel suo ruolo, è stato posto. È in questa ottica che vanno lette le decisioni prese dalle istituzioni dell’Unione e dagli Stati, per far fronte alle emergenze ed alle conseguenze della crisi e in un quadro istituzionale estremamente complesso ed intricato. Certo, sono state prese decisioni che hanno messo in evidenza sia i limiti dei Trattati sia l’assenza di una legittimità democratica sovranazionale. Ma agendo al di fuori dei limiti previsti dai Trattati – come nei casi del fiscal compact, del MES, degli interventi della BCE e della stessa unione bancaria – si è manifestata la volontà di scongiurare il deragliamento del processo di integrazione, il ritorno degli europei alle “vecchie aporie” ed il chiudersi, per non si sa quanto tempo, di un ciclo storico. E si è guadagnato tempo per far maturare quella volontà politica che fatica a manfestarsi, sia a livello di governi sia di opinione pubblica, per fare il salto federale e collegare il governo dell’euro all’esercizio della sovranità popolare. È comunque un dato di fatto che ormai i problemi non possono essere più affrontati semplicemente applicando il “metodo comunitario” o quello “intergovernativo”. E che anche chi avrebbe la possibilità di mandare all’aria tutto, anche sulla base di giustificabili critiche sul piano giuridico ed istituzionale, riconosce in questa fase i limiti dei suoi margini d’azione autonoma e le conseguenze disastrose che potrebbero avere decisioni improntate alla mera dichiarazione di indipendenza assoluta del proprio ruolo in un sistema in cui troppi fattori di interdipendenza interna – e molti elementi di pressione internazionali – condizionano ormai l’azione. Due recenti episodi confermano la forza di questa logica.

Il primo riguarda il confronto in atto tra Parlamento europeo e Consiglio europeo su come mettere in atto le decisioni relative al controllo e alla risoluzione delle crisi bancarie, con un trattato intergovernativo – come proposto dal Consiglio – oppure attraverso le istituzioni esistenti. La plenaria del Parlamento europeo, dopo aver ribadito il suo atteggiamento contrario alla proposta del Consiglio, non ha votato alcuna proposta legislativa, in quanto ciò, per i complessi meccanismi co-decisionali che si sono instaurati, avrebbe implicato il rinvio di fatto di almeno un anno dell’avvio del meccanismo di risoluzione bancaria. E ciò avrebbe tolto alla BCE e all’eurozona la possibilità di instaurare nel frattempo gli strumenti minimi per controllare e risolvere eventuali crisi. È dunque ipotizzabile che, entro aprile, una soluzione non distruttiva verrà trovata a questo problema: quanto più questa soluzione correggerà limiti e difetti degli accordi raggiunti, tanto meglio sarà. Quanto più questa si inquadrerà nell’ambito della realizzazione delle altre unioni necessarie (fiscale, economica e politica), tanto meglio sarà. È su questo terreno che spetta ai federalisti giocare un ruolo di stimolo e di pressione.

Il secondo esempio ci viene dalla decisione della Corte costituzionale tedesca di rinviare alla Corte di giustizia europea la valutazione della legittimità o meno di alcuni strumenti di intervento della BCE (nello specifico, il finora mai usato Outright Monetary Transactions, OMT) per aiutare gli Stati in crisi. In questo caso, dopo aver pesantemente criticato l’attuale ruolo della BCE ed aver denunciato la grave mancanza di legittimità democratica nell’attuale sistema di interventi per soccorrere banche e Stati della zona euro, la Corte tedesca si è fermata. Un articolo del Financial times ha riassunto efficacemente quanto accaduto, traducendo così il significato della sentenza della Corte di Karlsruhe: “Non ci piace quel che la BCE sta facendo, ma non saremo noi a lanciare una bomba atomica sull’eurozona”. Mercati ed istituzioni ne hanno preso atto e aspettano di vedere cosa accadrà una volta che la Corte europea si sarà pronunciata e che la Corte tedesca avrà emesso un’altra attesa sentenza sul Meccanismo europeo di stabilità il 18 marzo. Resta il fatto che, per la prima volta, la Corte tedesca pur rendendo omaggio a parole ai critici della BCE, nei fatti consegna gli argomenti di questi ultimi al giudizio definitivo di un’istanza superiore, la Corte di giustizia europea. Come ha commentato Frédéric Lemaître su Le Monde “les opposants allemands à la politique de la Banque centrale européenne (BCE) ont gagné une bataille, mais ils ont sans doute perdu la guerre”. In questo modo si è guadagnato altro tempo per lo stesso governo tedesco, oltre che per la BCE e le istituzioni europee.

Resta il problema di come sfruttare questa finestra temporale. È questo del resto il senso del richiamo fatto dalla Cancelliera Merkel al Bundestag il 29 gennaio scorso. Come è per questo che i problemi dell’unione fiscale ed economica e della legittimità democratica sono ormai stabilmente inseriti nell’agenda europea del 2014. Non solo, ma vengono ripresi temi che, usciti dalla finestra, come quello dell’emissione di eurobonds, tendono a rientrare dalla porta, come suggerisce una proposta di Peter Bofinger, uno degli autorevoli membri del Consiglio Tedesco di esperti economici di utilizzare degli euro bundles – sorta di euro-obbligazioni pesate in relazione alle quote delle diverse economie nazionali nell’ottica di favorire la nascita di una vera unione fiscale. Una proposta questa evidentemente pensata per togliere ulteriori argomenti ed armi agli avversari della BCE e del consolidamento dell’unione monetaria. E che si inserisce nel confronto tra governi ed istituzioni europee sulla necessità di mettere in relazione i meccanismi di solidarietà e le risorse finanziarie proprie necessarie per sostenerli. Tutto ciò è inevitabilmente collegato allo scioglimento del nodo della legittimità democratica. Anche su questo terreno, che sembrava fino a pochi mesi fa impraticabile, si è aperto il confronto. Nel parlamento europeo e a livello di esponenti dei governi si discute apertamente della necessità di differenziare il funzionamento del Parlamento europeo o di alcune sue commissioni o sotto-commissioni, prevedendo un accresciuto ruolo di controllo, supervisione e decisione da parte dei parlamentari europei dell’eurozona sulle politiche necessarie per governare l’euro. Non è casuale il fatto che alla dichiarazione fatta in proposito la settimana scorsa dal Ministro Schauble, sia seguita una proposta da parte della Commissione economica del Parlamento europeo di procedere su questa strada.

Le rivendicazioni contenute nella cartolina, nella dichiarazione di impegno e nel Manifesto UEF, cioè negli strumenti che sono alla base dell’azione che stiamo conducendo nei confronti della classe politica e dell’opinione pubblica italiane, pongono il problema di fare l’Europa federale che serve a partire dal quadro in cui ci troviamo.