SCHEDA-COMMENTO
L’UNIONE BANCARIA: E POI?
Franco Spoltore
Le modalità in base alle quali si è andato costruendo il processo di integrazione europea, ed in particolare gli sviluppi a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, fanno sì che oggi i governi, i politici e le istituzioni, non vogliano, o non possano, trasferire in un sol colpo la sovranità nazionale in campo fiscale ed economico creando una sovranità federale. Tuttavia, per mantenere in sicurezza l’euro e per cercare di dare delle risposte alla crisi economica che minaccia di sovvertire l’ordine sociale e politico in alcuni paesi, essi sono costretti a procedere sulla strada del consolidamento dell’unione monetaria in direzione dell’unione economica e politica.
È partendo da questo dato di fatto che dobbiamo leggere le decisioni dell’ultimo Consiglio europeo a proposito del varo dell’unione bancaria e della decisione di aprire il cantiere per istituire il meccanismo di solidarietà entro il 2014. Ed è in questo contesto che bisogna orientare l’azione nei confronti dell’opinione pubblica, dei governi, delle istituzioni in generale allo scopo di realizzare l’unione federale.
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L’accordo raggiunto a Bruxelles nei giorni scorsi ha confermato da un lato la volontà politica dei governi di procedere sulla strada della realizzazione delle quattro unioni, a partire da quella bancaria; dall’altro lato le difficoltà di fare dei passi avanti volendo per il momento lasciare inalterato il quadro giuridico dei trattati e quello istituzionale dell’Unione e pretendendo di mantenere a livello nazionale il potere ultimo di supervisione, di controllo e di regolamentazione del sistema bancario e fiscale.
Il metodo seguito per conciliare queste esigenze, come ha illustrato Jean-Claude Piris (The five crises of Europe and the future of EU, Oxford, ottobre 2013), ancora una volta non è stato più né strettamente comunitario né solo intergovernativo, in quanto sono state adottate decisioni che implicano un collegamento tra i nuovi organismi esecutivi e di controllo proposti, e le istituzioni esistenti. I governi hanno optato per una sorta di metodo dell’Unione, per dirla con Piris, che certamente non innova dal punto di vista né della legittimazione democratica sovranazionale né dell’istituzione di un sistema federale sui temi della fiscalità, del bilancio ed del governo delle politiche economiche; ma che consente ai paesi dell’eurozona di aggirare gli ostacoli di una profonda riforma all’unanimità dei trattati e della loro successiva ratifica nazionale. È questo il senso del ricorso, ancora una volta, ad un trattato intergovernativo per definire il quadro giuridico di funzionamento dei nuovi meccanismi di supervisione e del cosiddetto paracadute finanziario, quello che dovrebbe entrare in funzione in caso di crisi prima che sia terminato il lungo periodo di graduale mutualizzazione dei rischi a livello europeo e che sia completato il nuovo fondo europeo. L’alternativa sarebbe stata quella di mettere il destino dell’unione bancaria nelle mani della Gran Bretagna. Come ha spiegato un resoconto del Financial Times, i negoziati sull’unione bancaria hanno mostrato “that Germany and the eurozone will go to great lengths to avoid giving Cameron the leverage he craves. In one senior EU official’s words: ‘Nobody wants to give the keys to the UK’. Two elements of the deal, while somewhat arcane and legalistic, should seriously concern London. The first is that it clears a legal pathway for the eurozone to plough on with financial integration without the UK having much of a say. The second is that Germany, even when it has legal concerns, will happily solve problems through pacts outside the EU treaties, just so it does not give the UK a veto” (“The Brits and banking union: bad omens for Cameron’s referendum”, 18-12-13).
In ogni caso è stato definitivamente superato il principio del controllo esclusivamente nazionale di un sistema bancario che, con la creazione della moneta europea, nazionale di fatto non è più. In più, il Single Supervisory Mechanism ed il Single Resolution Board rispondono ad una logica non dissimile da quella che sta seguendo, a fatica, anche la Federal Reserve USA dopo la crisi del 2008. Una logica che punta al rafforzamento del potere di sorveglianza e di dissuasione per evitare i due estremi potenzialmente catastrofici per qualsiasi sistema finanziario: il salvataggio e la bancarotta (“Toward Building a More Effective Resolution Regime: Progress and Challenges”, Governor Daniel K. Tarullo At the Federal Reserve Board and Federal Reserve Bank of Richmond Conference, Planning for the Orderly Resolution of a Global Systemically Important Bank, Washington, D.C., October 18, 2013). Fatti questi che, quando si verificano, vanno per definizione al di là delle capacità di intervento autonomo di qualsiasi Banca centrale. Ovviamente una differenza non da poco tra l’area dell’euro e l’area del dollaro sta nel quadro in cui questi meccanismi operano: negli USA, nonostante le difficoltà, è consolidato dal punto di vista istituzionale e giuridico il collegamento del regime di controllo e risoluzione con il sistema di governo federale generale. Nonostante i limiti ed i difetti del modello di supervisione bancaria americano, nessuno teme che una sua defaillance possa mettere in pericolo l’esistenza del dollaro; la discussione, oltreoceano, è su come migliorare quel modello. Nell’eurozona, invece, come ha detto il Presidente della BCE Mario Draghi al Parlamento europeo, il problema risiede ancora nel fatto che la “banking union is not a panacea for eliminating financial market fragmentation and fully stabilising EMU. It is a necessary, but not sufficient condition to break the bank-sovereign nexus and restore sustainable economic growth. Equal borrowing conditions can only be ensured through the joint implementation of other measures. This not only includes continued fiscal consolidation and implementation of structural reforms, but also progress on the other ‘unions’. Only then can we say we have created a genuine EMU. Let us seize the opportunity of the next EP elections to have an open public debate on the further steps needed to strengthen the architecture of EMU”.
L’impossibilità di fermarsi all’unione bancaria ha dovuto essere riconosciuta dallo stesso Consiglio europeo del 19-20 dicembre, visto che nelle sue conclusioni, nel paragrafo sull’Unione economica e monetaria, dopo aver dato il via libera all’unione bancaria, ha invitato “il presidente del Consiglio europeo, in stretta cooperazione con il presidente della Commissione europea, a proseguire i lavori su un sistema di accordi contrattuali reciprocamente concertati e meccanismi di solidarietà correlati, e a riferire al Consiglio europeo nella riunione dell’ottobre del 2014 nella prospettiva di giungere a un accordo complessivo su entrambi gli elementi”. Anche su questo fronte il negoziato si annuncia difficile, in quanto si tratta di conciliare l’esigenza, sottolineata dalla Germania, di vincolare i paesi che devono promuovere riforme ed investimenti per aumentare la competitività e promuovere l’occupazione, ad impegnarsi a farlo davvero (accordi contrattuali vincolanti con le autorità europee), con la richiesta italiana e francese di creare una capacità finanziaria autonoma dell’eurozona con la quale al tempo stesso incentivare le economie di quei paesi (meccanismi di solidarietà correlati). Nella misura in cui questi temi entreranno e domineranno il dibattito politico, a partire dalla campagna elettorale europea, sarà sempre più evidente il fatto che la possibilità di promuovere le politiche di sviluppo dipende dalla scelta di dotare l’eurozona delle risorse necessarie a sostenerle. E sarà sempre più difficile per governi, partiti ed istituzioni sottrarsi ad un serio dibattito su come istituire un bilancio dell’eurozona, come finanziarlo e come controllarlo democraticamente. Tutti temi questi su cui i federalisti non solo hanno qualcosa da dire, ma su cui hanno incentrato la loro battaglia soprattutto in Italia, cioè nel paese che potrà giocare un ruolo importante nella seconda metà del 2014 per dare un senso politico alle formule tecniche degli “accordi contrattuali” e dei “meccanismi di solidarietà correlati”.
Riassumendo:
a) una volta deciso di salvare l’euro, per affrontare e risolvere i problemi posti da una moneta senza Stato, i paesi dell’eurozona hanno faticosamente imboccato la roadmap proposta dalla Commissione europea del dicembre 2012 “For a deep and genuine EMU” per realizzare le quattro unioni;
b) questo implica, per i governi, i rappresentanti delle istituzioni e delle forze politiche più responsabili e consapevoli, tenere in campo la scelta dell’unione politica federale contro quella della disgregazione nazionale ed europea.
In questa ottica le rivendicazioni contenute nella cartolina-appello del MFE, riguardano ormai degli aspetti della lotta di potere che si è aperta in Europa su come ed entro quando dare un governo democratico alla moneta ed alle politiche fiscali, di bilancio ed economiche ad essa collegate.
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Note
Nei giorni precedenti il vertice di dicembre, sono emersi da diversi resoconti ed interviste alcuni interessanti elementi del confronto in atto tra i governi non solo sull’unione bancaria, ma soprattutto su alcuni aspetti dell’unione economica. Ne ricordo di seguito alcuni (scorrere con il mouse sui nomi delle testate dei giornali o dei titoli per andare ai link):
20 Novembre, Dichiarazione Francia-Italia
21 novembre, Reuters: Euro zone mulls cheap loans as incentive for economic reforms – (document for the sherpas)
24 novembre, Intervista del Corriere della Sera del Ministro Moavero Milanesi
25 novembre, Financial Times: Cheap loans for fiscal reforms. Sound familiar?
7 dicembre, La Repubblica, Le prove di asse Francia-Italia cambiano gli equilibri
10 dicembre, Intervista al Sole 24 Ore del Ministro Moavero Milanesi
15 dicembre, Intervista di Avvenire del Ministro Moavero Milanesi
20 dicembre, Le Monde, Hollande-Merkel
Sull’unione bancaria:
19 dicembre, Spiegel online, Not Fit for the Next Crisis: Europe’s Brittle Banking Union
19 dicembre, Sole 24ore, Accordo raggiunto
20 dicembre, Financial times, How to shutter a bank in Europe