Commentando brevemente l’esito – peraltro nient’affatto definitivo – dell’ultimo negoziato tra l’Eurogruppo e la Grecia su come gestire il rischio di default di questo paese, bisogna constatare ancora una volta i limiti e le contraddizioni del sistema europeo attuale, che pretende di governare competenze e poteri comuni sulla base di un sistema di regole e non di istituzioni. I limiti e le contraddizioni diventano particolarmente evidenti quando è in questione, come in questo caso, il valore fondante di ogni comunità politica: la solidarietà. Il caso greco dimostra che il nodo da sciogliere è quello di istituire un quadro di solidarietà all’interno dell’eurozona, senza il quale nessuna fiducia è possibile (si veda in proposito la lettera inviata al Presidente Renzi, al Ministro Padoan ed al Sottosegretario Gozi alla vigilia dell’ultima riunione dell’Eurogruppo).

Proprio il tema della fiducia, infatti, è stato al centro dei negoziati delle scorse settimane. Lo ricordava Le Monde, chiedendosi come mai un uomo profondamente europeo come il Ministro Schaeuble, si sarebbe esposto in prima linea nel richiamare il governo Greco alla serietà. Proprio perché, come egli stesso ha detto in occasione dell’incontro con il suo omologo portoghese, “non sono le regole la cosa più importante. È la fiducia che conta. Non c’è un problema di troika. C’è un problema di fiducia reciproca. Chi mina la fiducia reciproca, distrugge l’Europa” (Le Monde, 20-02-15). Lo stesso concetto sarebbe stato ribadito dal presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijisselbloem nell’annunciare l’accordo raggiunto venerdì 20 febbraio: “L’incontro è stato intenso perché si trattava di stabilire la fiducia tra noi. Abbiamo fatto un primo passo per ricostruire la fiducia. Come sapete è più facile perdere la fiducia che riguadagnarla” (Financial Times, 20-02-15).

Il problema è che il tentativo di ricostruire la fiducia reciproca è stato fatto non nel senso di avviare la realizzazione di istituzioni capaci di promuovere la solidarietà tra i paesi dell’eurozona per gestire le conseguenze economiche e sociali della crisi e per promuovere lo sviluppo. Esso è stato fatto nell’ottica tradizionale di conservare lo status quo, in cui i rapporti tra Stati continuano a basarsi sull’esercizio della sovranità nazionale e la solidarietà riguarda il confronto tra popoli diversi. I governi hanno giocato ancora una volta le loro parti nazionali. Da una parte la Grecia, costretta a cedere di fronte all’evidenza dei propri errori passati, della propria debolezza come sistema politico e sociale e dalla propria dipendenza dal sostegno europeo. Dall’alto la Germania, ingabbiata dal proprio peso politico ed economico ad un ruolo di leadership che non trova riscontro nella propria opinione pubblica, insieme ai paesi soggetti nel passato alla tutela della Troika (come la Spagna e l’Irlanda) - furibondi all’idea di aver pagato le conseguenze di regole che altri ora chiedevano di poter evitare e alla Francia e all’Italia, preoccupate di essere costrette a discutere di piani europei di trasferimento di sovranità eventualmente applicabili in futuro anche nei loro confronti.

Il nodo da sciogliere resta quindi intatto. Perché, come ha ricordato Habermas nel suo ultimo saggio, “the continuing trend towards growing imbalances between the national economies can be halted in the long run only within the framework of a Union with a common fiscal, economic and social policy. The unavoidable transfers across national borders can be democratically legitimized only if the EU is extended into a political union at least in core Europe…… A shift to solidarity-based policies for mastering the continuing crisis will not be possible without transferring additional sovereignty rights to the European level, which in turn requires an institutional reform that strengthens the European Parliament” (Democracy in Europe - Why the Development of the European Union into aTransnational Democracy is Necessary and How it is Possible, Jürgen Habermas).

Tutto ciò pone in evidenza l’estrema attualità delle rivendicazioni che il MFE ha portato avanti e sta portando avanti attraverso la Campagna per la federazione europea. E la necessità di mantenere una forte pressione nei confronti della casse politica, dei parlamentari nazionali ed europei, delle forze sociali e dell’opinione pubblica, affinché maturino la volontà ed il consenso per il rilancio dell’iniziativa politica. Una iniziativa che, come ha messo in evidenza l’Analytical Note presentata al vertice del 12 febbraio dal Presidente della Commissione europea Juncker, è sempre più urgente e che comunque, entro il giugno prossimo, quando oltretutto il caso greco dovrà essere ridiscusso, dovrà tradursi in atti concreti. L’Europa dei piccoli passi può forse sopravvivere ancora per un po’ a se stessa, ma non serve più a contribuire al progresso e ad un futuro di benessere e pace né degli europei né del resto del mondo.

Franco Spoltore