Lucio Levi

1. Dal 2008 la crisi finanziaria ed economica sta scardinando le istituzioni mondiali ed europee che hanno assicurato l’ordine internazionale nel secondo dopoguerra. La fase costituente di un nuovo ordine europeo e mondiale dovrà assumere sempre più netti caratteri federali per consentire l’uscita dalla crisi. L’UE è il laboratorio dove si stanno sperimentando le istituzioni necessarie a governare un’economia e una società che hanno assunto dimensioni molto più grandi degli Stati nazionali. Si sta diffondendo l’idea che il cantiere istituzionale dell’UE costituisca il pilastro regionale dell’edificio della pace mondiale, che la costituzionalizzazione in corso dello spazio europeo rappresenti il modello per governare la globalizzazione.

La crisi globale rappresenta una grande opportunità per dare impulso al progetto federalista. La crisi rende evidente l’alternativa “unirsi o perire” ed è questa la condizione oggettiva che può spingere i governi di alcuni Stati membri dell’UE – in primo luogo Francia e Germania, ma con l’indispensabile contributo dell’Italia – a perseguire scelte convergenti con gli obiettivi federalisti. Ma l’iniziativa dei governi non può manifestarsi nel vuoto politico. Per essere efficace, deve essere sostenuta da un movimento popolare. Ciò che manca per dare ali al progetto federalista è il consenso popolare, la spinta dal basso. Si registra invece un crescente distacco dei cittadini dalle istituzioni europee, anche dal Parlamento europeo, che pure rappresenta l’unico serio tentativo di estendere la democrazia dal piano nazionale al piano internazionale. Inoltre, l’assenza di un’Europa capace di agire come attore globale priva il mondo di un potenziale motore del processo di rafforzamento e democratizzazione delle Nazioni Unite.

2. Abbiamo tentato tante volte di metterci alla testa di un movimento popolare per ottenere il riconoscimento del potere costituente del popolo federale europeo. Questo è sempre stato l’orientamento fondamentale della nostra azione, dal Congresso del popolo europeo alle campagne per l’elezione diretta del Parlamento europeo, per la moneta unica e per la Costituzione europea. Questa deve tornare a essere la priorità assoluta del nostro impegno politico. Dobbiamo avere l’orgoglio di essere gli iniziatori e l’avanguardia di questo movimento, ma anche la modestia di chi sa che questo compito non può essere assolto dai soli federalisti, perché necessita di un ampio schieramento di forze sia della società civile sia della società politica.

3. I movimenti della società civile sono un grande serbatoio di risorse morali e di volontà politica. Sono forze nuove che traggono la motivazione ad agire soprattutto dalle grandi sfide globali (pace, cambiamenti climatici, povertà, diritti umani, governo del mercato globale e così via). I problemi globali attivano nuove forze sociali che agiscono sul piano mondiale. La novità politica dei movimenti della società civile globale consiste nel tentativo di innovare senza disporre né di una base di classe, né di una base nazionale. Infatti i partiti e gli Stati, che sono l’espressione politica rispettivamente delle classi e delle nazioni, subiscono e non controllano il processo storico, che sta travolgendo i vecchi e cadenti Stati nazionali. Di qui la consapevolezza che i nuovi obiettivi non possono essere perseguiti dai vecchi poteri. Le forze nuove che vogliono cambiare il mondo cercano nuove formule organizzative e di azione sul piano globale.

4. I movimenti della società civile globale, nell’ultimo decennio del secolo scorso, hanno acquisito il ruolo di interlocutori riconosciuti dei governi in seno alle conferenze diplomatiche e alle organizzazioni internazionali. Hanno mostrato di sapere esercitare un’influenza reale sulla politica mondiale. Ne sono un esempio il ruolo svolto dal movimento per i diritti umani nelle Conferenze che hanno approvato i Trattati per il bando delle mine antiuomo e per l’istituzione del Tribunale penale internazionale. La formazione di coalizioni di movimenti è la formula organizzativa che ha permesso di incidere in modo efficace sui negoziati svoltisi nell’ambito di quelle conferenze. Inoltre, in settori significativi del movimento per la pace è cresciuta la consapevolezza che l’obiettivo della pace ha natura istituzionale e che il rafforzamento e la democratizzazione dell’UE sono parte del progetto di costruzione della pace nel mondo. Il compito storico che ci sta di fronte è quello di promuovere un processo federativo dei movimenti della società civile globale che non neghi l’autonomia delle singole componenti, ma decida di dotarsi di una direzione comune diventando così il “Movimento dei movimenti”. È una formula flessibile che consente di organizzare campagne promosse da schieramenti a carattere pluralistico, nei quali ogni movimento mantiene la propria autonomia e nessuno esercita un ruolo egemonico. È questa la condizione perché il Movimento divenga capace di agire e di influire in modo incisivo sulla politica europea e mondiale.

5. L’impegno delle organizzazioni non governative per la pace, per la protezione dell’ambiente, per la giustizia internazionale e per la difesa dei diritti umani è espressione di uno stile di azione militante simile a quello dei partiti quando erano soggetti rivoluzionari. Le organizzazioni della società civile sono la manifestazione dell’esigenza, largamente sentita soprattutto dai giovani, di occuparsi dei grandi drammi dell’umanità. Sono per il momento una massa eterogenea di gruppi piccoli e grandi, uniti da una situazione comune (la globalizzazione). E’ un movimento trascinato dalla corrente della storia, ma che non ha ancora messo a punto gli strumenti per governare questo processo. Non ha piena coscienza dei propri obiettivi istituzionali, né ha elaborato una precisa strategia politica.

Il nuovo ciclo della politica mondiale determinato dalla crisi finanziaria ed economica ha colpito severamente i movimenti della società civile, che non hanno saputo dare uno sbocco alla loro protesta. Così i nuovi movimenti, come Occupy Wall Street o quello degli Indignados, hanno prodotto fiammate cui è seguito il riflusso. Essi non hanno saputo elaborare proposte politiche idonee a incidere sull’andamento della crisi e suscettibili di produrre il cambiamento tramite misure capaci di imbrigliare il capitale finanziario, che ha sottratto agli Stati una parte importante del potere di decisione a livello internazionale.

6. Ciò che distingue i movimenti federalisti è un approccio essenzialmente politico e istituzionale, che permette di colmare i limiti dei movimenti della società civile. Il loro obiettivo primario è la costruzione di istituzioni soprannazionali, che sono necessarie a trasformare in decisioni politiche le istanze che emergono nella società. Si profila dunque una potenziale complementarità tra i movimenti federalisti e i movimenti della società civile sul terreno della strategia politica.

Un’esperienza pienamente riuscita è la storica vicenda che ha portato all’istituzione del Tribunale penale internazionale (TPI), il primo tribunale universale permanente che giudica, come i tribunali degli Stati, gli individui e mira a sottrarre all’impunità i grandi criminali che sono alla testa di molti Stati. Il World Federalist Movement è riuscito in un’impresa senza precedenti: la costituzione di una coalizione di 2500 ONG per sostenere la campagna per elaborare lo Statuto del TPI e poi per ratificarlo. Dal 2002, quando con il sostegno di 66 Stati il TPI ha cominciato a operare, 122 Stati ne hanno ratificato lo Statuto.

La lezione che si può trarre da questo successo è che grandi schieramenti di forze di ispirazione popolare possono spezzare la resistenza dei governi nei confronti del disegno federalista. L’ambizioso obiettivo che possiamo perseguire in questo momento in Europa è la costruzione di un unico schieramento che includa il movimento dei lavoratori e il movimento per la pace e ci permetta di raggiungere la massa critica necessaria a progredire verso l’unità politica del continente in vista dell’unificazione del mondo.

La prospettiva di una vasta mobilitazione della società civile e politica aprirà la via alla selezione di una nuova generazione di leaders politici, di cui l’Europa e il mondo hanno assoluto bisogno.

7. La formula più elementare per promuovere un movimento dal basso sono le Convenzioni dei cittadini. Partendo dall’unità di azione con le componenti della forza federalista (UEF, JEF, Movimento europeo, intergruppi federalisti, AEDE ecc.), occorre puntare in primo luogo sui movimenti della società civile, ma anche sui partiti, i sindacati e gli enti locali, per costruire la massa critica necessaria a dare impulso alla trasformazione in senso federale dell’UE e avviare una trasformazione analoga dell’ONU e delle organizzazioni economiche create a Bretton Woods.

La costruzione del movimento deve partire dalle città con Convenzioni locali, che vedranno impegnati in primo luogo i gruppi federalisti locali, per giungere a Convenzioni nazionali, che dovranno culminare in una Convenzione europea. Questa si distinguerà dalle Agorà promosse dal Parlamento europeo, perché sarà il risultato di una mobilitazione dal basso e sarà dunque espressione di una spinta rivendicativa che scaturirà dalle radici della società civile europea. Ma, come le Agorà, dovrà riunirsi nel Parlamento europeo, contribuendo a fare uscire quest’ultimo dall’isolamento nel quale si trova, malgrado le elezioni europee. Si aprirà così anche un nuovo canale di comunicazione tra il Parlamento e la società civile europea, che i partiti, ancora prigionieri della dimensione nazionale, non hanno saputo attivare. Attraverso questo canale, si avvierà la costruzione di uno spazio pubblico europeo, nel quale si svilupperà un dialogo permanente dei rappresentanti eletti con i cittadini europei sull’avvenire dell’Europa e del mondo.

A livello mondiale si dovrà riprendere la proposta di istituzionalizzare il Forum della società civile globale, che si dovrebbe riunire ogni anno prima dell’apertura dell’Assemblea generale dell’ONU e trasmettere a quest’ultima le rivendicazioni della società civile. Il Forum si è riunito una sola volta nell’aula dell’Assemblea generale nel maggio del 2000 e le proposte che ne sono scaturite sono state, almeno in parte, riprese dai governi, in particolare i millennium development goals.

8. La piattaforma politica delle Convenzioni sarà il risultato di un dibattito sui grandi temi della politica europea e mondiale, quali la pace come valore supremo della politica del nostro tempo, una vera cittadinanza europea sopranazionale per i cittadini dell’UE e una cittadinanza di residenza per i cittadini extra-comunitari, intesa come premessa dell’affermazione di una cittadinanza cosmopolitica, il servizio civile europeo, il reddito minimo garantito, il governo europeo dell’economia, una politica della immigrazione, un piano per la ricerca, l’innovazione tecnologica, l’occupazione e lo sviluppo sostenibile, l’istituzione di un’Assemblea Parlamentare dell’ONU, il seggio europeo nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU nella prospettiva della trasformazione di questo organismo nel Consiglio della grandi regioni del mondo, la creazione di un’Organizzazione Ambientale Mondiale finanziata da una carbon tax ecc.

Queste proposte dovrebbero essere incluse in petizioni da trasmettere alle autorità nazionali, europee e mondiali, che dovrebbero essere lo strumento per raccogliere consensi nella società civile sul progetto federalista nelle sue articolazioni regionali e mondiale, dando così alle Convenzioni un chiaro obiettivo istituzionale. In altri termini, le petizioni dovrebbero essere il veicolo attraverso il quale le istanze della società civile sono inquadrate nel contesto della riforma in senso federale dell’UE e dell’ONU. Il funzionamento dell’UE si basa essenzialmente sulla democrazia rappresentativa. Negli anni passati, il Parlamento europeo convocando assemblee della società civile (Agorà) ha riconosciuto l’insufficienza delle elezioni europee e degli organi rappresentativi a colmare il fossato che separa le istituzioni europee dai cittadini. Il Trattato di Lisbona (art. 11) ha introdotto il principio della democrazia partecipativa, consentendo di associare i cittadini al processo legislativo dell’Unione. Più precisamente, un milione di cittadini può chiedere alla Commissione europea, che è titolare del diritto di iniziativa legislativa, la presentazione della proposta di un atto legislativo. Nella prospettiva di poter utilizzare questo istituto, la cosiddetta Iniziativa dei cittadini europei, le Convenzioni dei cittadini europei saranno il terreno preparatorio sul quale potranno maturare le indispensabili alleanze e coalizioni tra i movimenti della società civile e le altre forze di ispirazione europeistica e mondialistica, per unire gli sforzi in vista della mobilitazione dei cittadini.

9. Nei movimenti della società civile circola un’idea sbagliata della democrazia secondo cui la democrazia diretta sarebbe un’alternativa alla democrazia rappresentativa. Innanzitutto, la formula “democrazia diretta” dovrebbe essere sostituita da quella più realistica di “democrazia assembleare”. Con questa espressione si vuole sottolineare che persino nelle città-stato democratiche dell’antica Grecia, dove l’assemblea popolare svolgeva funzioni legislative, c’erano organi rappresentativi. E questo fatto prova che la democrazia diretta è un mito, che non è mai esistita, nemmeno nelle comunità politiche di piccole dimensioni nelle quali si sviluppano relazioni personali tra i cittadini. Se esistesse, significherebbe che le società umane non hanno bisogno di riflessione politica, del confronto delle idee, della mediazione tra proposte politiche e interessi politici diversi e spesso divergenti e della delega a persone che hanno specifiche competenze circa la capacità di analisi della realtà sociale e le possibili soluzioni dei problemi emergenti.

E’ da ricordare inoltre che la democrazia assembleare può funzionare solo nell’ambito di comunità politiche di piccole dimensioni. La democrazia rappresentativa si è imposta come una necessità, quando è sorto il problema di allargare la dimensione della comunità democratiche e di associare i cittadini alla formazione delle decisioni politiche in Stati di dimensioni più ampie di una città.                                                             Vanno tuttavia sottolineati i limiti della democrazia rappresentativa, che sono particolarmente vistosi in comunità politiche di grandi dimensioni, nelle quali è più sensibile la distanza che separa i cittadini dalle istituzioni. L’attivazione di istituti di democrazia partecipativa, come l’iniziativa popolare delle leggi (l’Iniziativa dei cittadini europei, prevista dal Trattato di Lisbona, ne è una variante) e le petizioni servono a colmare quella distanza e a soddisfare la domanda di partecipazione dal basso, che viene soprattutto dai giovani.

10. Un’altra risposta sbagliata ai deficit della democrazia rappresentativa è quella secondo cui la rete sarebbe un’alternativa ai partiti, il veicolo di una democrazia senza partiti. Certamente la rete offre inedite possibilità di organizzazione orizzontale e a geometria variabile. Essa ha mostrato in diverse occasioni la sua efficacia nell’abbattere gli ostacoli che bloccano la partecipazione dei cittadini. Non bisogna però esagerarne la portata. Le rivoluzioni le fanno persone reali, che occupano le strade e le piazze con il proposito di cambiare l’ordine costituito. I social networks possono solo svolgere un ruolo sussidiario nell’informazione, nel dibattito politico, nell’organizzazione, nello scambio e nell’amplificazione delle parole d’ordine e nella mobilitazione.

I nuovi media consentono modalità di azione rapide e leggere, basate su poche regole e non condizionate da gerarchie di potere. Il punto debole di queste modalità di azione è la volatilità dei gruppi e la conseguente incapacità di perseguire obiettivi di lungo periodo. I movimenti antisistema incorrono in un grave errore quando contrappongono la società civile alla classe politica in nome di una democrazia più autentica senza  mediazioni e senza rappresentanza.                                                                                                                             

C’è una funzione politica insostituibile che solo i partiti possono svolgere: articolare e aggregare le domande provenienti dalla società civile e trasmetterle al governo, che le trasforma in decisioni politiche. In altre parole, il sistema dei partiti è la macchina che nelle democrazie moderne produce le decisioni politiche. Senza partiti non è possibile una reale partecipazione dei cittadini alla formazione delle decisioni politiche.

Oggi i partiti sono poco incisivi, hanno perduto la fiducia dei cittadini e non sono in grado di svolgere pienamente le loro funzioni, perché non hanno il controllo dei centri di potere internazionali per lo più privati (banche e imprese multinazionali, agenzie di rating, organizzazioni religiose, movimenti della società civile, organizzazioni criminali e terroristiche ecc.) che determinano il nostro avvenire. In un mondo nel quale i nostri principali problemi sono globali, i partiti sono rimasti nazionali. Questa è la contraddizione da superare per avere partiti più forti, moderni e democratici che stimolino e facilitino la partecipazione.

11. Le elezioni europee del 2014 possono rappresentare la svolta che determinerà la formazione di un sistema partitico europeo e con essa lo spostamento dal livello nazionale al livello europeo di una parte sostanziale del potere di decisione che risiede nel sistema dei partiti. A livello europeo esistono istituzioni (il Parlamento e la Commissione) che hanno natura quasi statuale, ma sono subordinate ai governi nazionali, che finora hanno monopolizzato la scelta dei membri della Commissione. Le elezioni europee sono state finora una somma di elezioni nazionali, in cui la posta in gioco sono stati i rapporti di forza tra i partiti a livello nazionale. I movimenti della società civile hanno tentato di esprimere le loro istanze a livello europeo, ma, in mancanza di un governo e di partiti europei, non hanno incontrato le condizioni per dare uno sbocco politico alle loro rivendicazioni.

La chiave di volta per cambiare questa situazione è il riconoscimento ai cittadini del potere di eleggere il Presidente della Commissione in concomitanza con le elezioni europee. E’ un cambiamento che non richiede una revisione dei Trattati, ma dipende unicamente dai partiti. Se questi ultimi decideranno di proporre un candidato unico per ogni famiglia politica, i cittadini avranno il potere di scegliere, oltre ai membri del Parlamento europeo, anche il capo dell’esecutivo europeo e il suo programma di legislatura. Se si attivasse questo meccanismo istituzionale, nell’UE si creerebbe un circuito di fiducia tra cittadini, Parlamento europeo e Commissione, la quale rafforzerebbe i suoi poteri di governo e riceverebbe piena legittimazione democratica. La competizione per decidere sulle grandi alternative politiche che non possono più avere una risposta nazionale (come uscire dalla crisi, dare all’Europa un ruolo nel mondo ecc.) si trasferirebbe sul piano europeo, adeguando la dimensione delle istituzioni a quella dei problemi da risolvere. I congressi europei dei partiti, la selezione dei canditati alla Presidenza della Commissione e l’elaborazione dei programmi elettorali rappresentano il contesto in cui può avvenire la saldatura tra partiti e movimenti della società civile. In altri termini, se i partiti sapranno coinvolgere i movimenti della società civile, l’elaborazione dei programmi elettorali diventerà il momento di sintesi tra le diverse istanze promosse dai movimenti da cui potrà scaturire la forza necessaria a cambiare la vita politica, salvare il progetto europeo e associare saldamente il popolo alle istituzioni europee.

In definitiva, come aveva osservato Albertini fin dagli anni Settanta, il punto di non ritorno nel processo di unificazione europea non sta tanto nel trasferimento formale di questa o quella competenza dagli Stati all’Unione europea o in questa o quella modifica nell’architettura delle istituzioni europee, ma sta piuttosto nello spostamento della competizione tra i partiti sul piano europeo. E’ ragionevole pensare che la posta in gioco nelle prossime elezioni europee sia il governo dell’Europa. Ciò significa che è all’ordine del giorno un salto istituzionale destinato a portarci più vicini alla Federazione europea.